Innocenti Invasioni: il workshop!

Robot_work_01_01Di Fabrizio Bellini.

E’ ancora presto per un resoconto sulle Innocenti Invasioni (la mostra è stata prorogata al 22 gennaio e ci vuole un certo distacco per scrivere di eventi così emozionanti), ma è un buon momento, in questi giorni di tedio invernale, per ripensare al workshop di ROBOTOLOGICA tenutosi a scalo San Lorenzo in Roma il 12 ed il 13 di Dicembre, e provare a farne un racconto.

L’idea era stringere in due giorni tutta la ROBOTOLOGICA per come io la intendo, tutta la filiera del riciclaggio artistico, dalla raccolta dei rifiuti passando per lo smontaggio e la selezione dei pezzi, per l’assemblaggio vero e proprio fino all’interazione in un lavoro svolto a più mani.

Un’idea ambiziosa, ai miei occhi, ma forte dell’esperienza agostina del Nomadic Arts Festival, quella riunione di folli intenta a vagare per il quartiere in azioni performative per tornare ritmicamente alla base, la super accogliente Galleria 291 Est, rilassarsi e poi tornare alla carica.

La mia attività in quell’occasione fu una performance d’accompagnamento: l’azione di chinarmi in continuazione a raccogliere ogni sorta di piccolo rifiuto utilizzabile, riempiendo tasche e cappello, per poi svuotarle nel Mucchio al ritorno, per fare e far fare Robottini e contribuire anch’io alla progressiva trasformazione della Galleria, fra ragnatele di lana, arsumigli e messaggi appesi qua e là. San Lorenzo e la tangenziale offrirono ampie risorse in fatto di rifiuti: il sottobosco dei cassonetti, l’isola lontana dei dadi e delle rondelle, gli abissi dei sampietrini, ciò che è ai piedi dei piloni ed agli angoli affossati dei marciapiedi.

Così, complice un’anomala primavera dicembrina, si è partiti in una passeggiata sconnessa e a testa bassa, raccattando ogni sorta di stranezza la strada era pronta a donare, chicchierando ogni tanto della qualità dei pezzi raccolti, delle loro evocazioni. Pensavo di dover faticare per innescare in Maurizio, Flavia, Alessandro e Flavio la prospettiva che volevo, invece sono stato preso in contropiede: avevano già visto la mostra ed ascoltato le spiegazioni mentre prendevamo il caffè, ed avevano capito benissimo lo spirito necessario all’assemblaggio, il vedere pezzi di robot in ogni oggetto caduto a terra, il non dire “guarda, un pettine” ma dire “guarda, una cresta di un punk!” o “guarda, una fila di denti!”

Tornati in galleria si è presto riempito il tavolo e si è partiti allo smontaggio… ma già c’era chi progettava il suo Robot con la mente, assegnando ai pezzi una potenziale interpretazione.

E’ giusto: un Robotologo deve conoscere i pezzi del suo mucchio, deve osservarli, tastarli, e sperare di ritrovarli al momento giusto nel caos primigenio del Mucchio.

Ma io, da vero manipolatore, non davo ancora loro la colla.

Invece ho fatto il solito scontato, sconnesso ma utile discorso su tecnica e poetica, e finito con calma di selezionare i pezzi, togliendo quelli più grandi e quelli particolarmente insulsi.

Un materiale che non avevo mai usato (non sono molti, credetemi) fu introdotto nel Mucchio, a dimostrazione che non si finisce mai di sperimentare… e d’imparare dalla Robotologica degli altri, anche se novizi.

Solo al termine della predica distribuii la colla, resi grazia e li lasciai sfogare.

Come in ogni cosa, bisogna prenderci la mano, ma a parte un eccessivo sperpero di Attak (Maurizio), mi sono stupito della varietà d’idee innovative che sono risultate, Robottini che non avrei mai immaginato, come il centometrista con la testa trasparente, il pacifico carroarmato dalle molte teste, il narciso allo specchio, la stronza dal cuore blu e il suo spasimante dal cuore a pezzi.

Altro motivo di stupore è stato osservare il fitto scambio d’idee che si è creato fra i partecipanti, nel cercare i pezzi esteticamente e psicologicamente adatti ai Robottini degli altri, e nel chiacchierare di altro, di fantascienza e di arte.

Il secondo giorno sarebbe stato più difficile. Completare il pannello (uno scuro di una finestra che mi ha regalato la Manu tempo fa) in una giornata mi pareva quasi impossibile. E prima di cominciare avevo programmato un esercizio di riscaldamento, assemblare un Robottino in quindici minuti. Assemblare a tempo è una cosa che andava fatta in un workshop di Robotologica completo: costringere a non pensare troppo a quello che si sta facendo, a farlo e basta.

Un’altra volta mi sono dovuto ricredere: non solo siamo riusciti a completare il pannello, ma al termine si è continuato compulsivamente ad assemblare Robottini tanto che io e Vania abbiamo dovuto imporci con la forza per dichiarare – più volte – terminato il workshop. Mai visto gente tanto fomentata!

Una pausa per liberare il tavolo e mangiare qualcosa, poi – anche se sfiniti – tutti a giocare a RoboRally, parte integrante e rituale di ogni laboratorio che si rispetti.

In questa galleria qualche immagine di questa incredibile esperienza, della consegna delle lauree in Robotologica e delle opere prodotte.

Ringraziamenti dovuti ai partecipanti ed a Vania e Giulia che hanno reso possibile il tutto.

Con emozione.

Piccoli guerrieri situazionisti – Un contributo (a)critico

manifesto 1-01“David, ti ho mandato il testo che ho scritto per la mostra. Quando hai tempo dagli una letta e se hai voglia mi piacerebbe scrivessi due righe sull’argomento. Senza impegno, naturalmente.”

In risposta a tale stimolo, David Laurenzi, scrittore ed antropologo visuale, amico e compagno d’avventure editoriali, ha inviato un suo penetrante ed inaspettatamente ampio contributo.

Oltre a far sentire immensamente onorato l’artista del quale tratta, questo articolo è un arricchimento non da poco alla mostra Innocenti Invasioni, prima personale del Gran Maestro Robotologo Fabrizio Bellini, che inaugurerà il 9 Dicembre 2015 alla Galleria 291 Est di Roma, ed al workshop che l’accompagna.

Ve lo presentiamo:

Innocenti invasioni.

La mostra Robotologica di Fabrizio Bellini
Alla Galleria 291 Est di Roma.

Piccoli guerrieri situazionisti – Un contributo (a)critico

di David Laurenzi (scrittore e antropologo visuale)

 

“Bello… come l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello.”
Isidor Ducasse – Conte di Lautréamont, “I canti di Maldoror”, 1869

 

I robot sono gli schiavi; l’etimologia del termine (in lingua ceca) non mente. Non importa quanta tecnologia circoli al loro interno o muova le loro articolazioni, sono creature costruite per servire ed eseguire compiti altrui, senza dubbi o incertezze… Le leggende inquietanti e paurose che li vedono futuri dominatori del mondo, spietati invasori e distruttori (in film come “Il mondo dei robot” di M. Crichton del 1973, “Terminator” di J. Cameron del 1984, ecc) sono solo esorcismi per giustificare e perpetuare in eterno la loro sottomissione, il loro ruolo di ultra moderni servi della gleba; usati per rafforzare la parallela schiavitù di altri servi, quelli in carne ed ossa.

Complici ottusi e diligenti del potere e della scienza, contribuiscono e contribuiranno sempre più a tenere soggiogati coloro che tali devono restare, proteggendo lo status quo in nome del progresso (come  “Robocop”, il film di P. Verhoeven del 1987, insegna).

 

I robot al cinema, almeno finché non “impazziscono”, sono i servi perfetti (da “Il golem” del 1920 di Paul Wegener e “Metropolis” di Fritz Lang del 1926, passando per “Il pianeta proibito” di Fred W. Wilcox del 1956, fino all’intera saga di “Guerre Stellari” e ai replicanti di “Blade runner” di Ridley Scott e di cento altri film, “Avatar” incluso) e, nello stesso tempo, sono la merce perfetta, il super gadget di cui non si può fare a meno, quello che soddisfa tutti i nostri bisogni e desideri, anche i più intimi, segreti (come quello di avere figli; penso ai genitori in “A.I. Intelligenza artificiale” di S. Spielberg, del 2001).

 

È questa affinità dei robot tanto con gli schiavi e gli operai che con le merci e gli elettrodomestici che di per sé dovrebbe già suggerirci alcuni inquietanti spunti di riflessione sul proletariato e la sua alienazione, sul suo stesso essere merce e sulle possibili strategie di evasione da logiche e ruoli che ci riguardano molto più da vicino di quanto pensiamo (la schiavitù inconsapevole è quella perfetta, specie per i padroni).

 

Ma i robot (da quelli più meccanici e metallici, riconoscibili a vista, fino agli androidi e ai simulacri, doppi sintetici degli esseri umani, quasi non distinguibili dagli originali) al cinema, in letteratura e nel nostro immaginario in genere, ci parlano anche di altro; ad esempio dello strano mix di scienza e misticismo, di fede e tecnologia che li abita, alimentato dal bisogno “empio” di rivaleggiare con dio o la natura nella creazione. Per questo i “padri” dei robot sono spesso figure ambigue e affascinanti quanto i loro pargoli, proprio per il groviglio di motivazioni (inconsce o meno) che li muove; siano essi il rabbino Low che dà vita al Golem, il dottor Frankenstein che assembla il suo mostro, il falegname Geppetto che intaglia Pinocchio, o uno dei tanti scienziati dei racconti di Philip K. Dick intento a realizzare replicanti sempre più complessi (e complessati, pulsioni edipiche incluse).

 

È su questo scenario denso e sfaccettato che si staglia il lavoro artistico di Fabrizio Bellini; padre pudico (e fratello spirituale) di piccole creature metalliche, di curiosi freak tenuti insieme dalla colla e dall’immaginazione.

Mi ricorda, ed è un complimento, l’amorevole scienziato (Vincent Price) impegnato a dar vita al suo figlio artificiale (Johnny Depp) in “Edward mani di forbici”, il film di Tim Burton del 1990; per l’esattezza mi ricorda una stramba sintesi di entrambi. Mi sembra in parte lo scienziato, in parte Edward, proprio perché, come detto, il suo atteggiamento verso i “robottini”, lungi dal farsi tutela patriarcale, sfuma in fratellanza, in complicità.

 

Riutilizzando i resti e i rifiuti delle merci, le più prestigiose come le più a buon mercato (componenti di cellulari, tv e computer, tasti di telecomandi, manici di caffettiere, fibbie e tappini di dentifricio, mozziconi di cavi elettrici, viti, rondelle e mille altri scarti ancora), in un gioco di libera associazione a base di fantasia e manualità, Fabrizio vendica e redime le merci stesse, liberandole dalle rigide regole dell’utilità, del consumo, dello status (non c’è alto e basso, non c’è gerarchia tra i gli elementi delle sue creazioni; la linguetta a strappo di un barattolo di piselli si innesta senza problemi alla scheda elettrica di una costosa play station).

 

I suoi piccoli robot sono buffi zombie, riassemblaggi di scarti del supremo ente moderno, la merce, che tornano (come i non morti, appunto) a vivere per farsi beffe di un potere che, dopo averli usati, li ha gettati via.

Parlo di robot per le “creazioni” di Fabrizio – intendendo i robot classici della fantascienza anni ’50 e ‘60, ormai a loro volta macchinari antiquati, fuori moda, tutti antenne, arti meccanici, corpi cilindrici e occhi sporgenti – perché anche quando sono chiamati a rappresentare alberi, gatti, scimmie, esseri umani assortiti e quant’altro, lo fanno sempre “robottizzandoli”, togliendo loro ogni scontata somiglianza realistica in favore di una visione “artificiale”, da “oggetto ludico” che reinventa la vita senza subirla.

 

Ricorrendo con piena consapevolezza e fiera incoscienza agli strumenti dadaisti e surrealisti del collage e del “cadavere squisito”, e a un vero e proprio detournement situazionista (per cui gli elementi di un discorso vengono riassemblati e decontestualizzati, vengono distolti dal loro significato originario e spinti a significare altro, liberando la critica all’esistente in essi già presente), Fabrizio sforna guerrieri di plastica e metallo, impegnati in piccole guerre contro il proprio doppio status, di merci e, appunto, di macchine (di robot/schiavi).

 

Guerre, dicevamo, ma senza sangue innocente sparso, guerre ludiche; il gioco infatti è l’orizzonte a cui i “robottini” rimandano, lo spazio altro rispetto al mondo e alle sue dinamiche economiche ed esistenziali, il luogo dove vigono leggi e regole inventate e/o liberamente accettate da chi gioca (nulla è più serio e vincolante del gioco per chi gioca, ma nello stesso tempo nulla è più effimero e circoscritto) – Debord e i situazionisti, del resto, amavano moltissimo i giochi da tavolo e di strategia, e non disdegnavano di considerarsi essi stessi pedine in partite che li trascendevano.

E poi piccole, sì, le guerre in questione lo sono, così come le dimensioni dei robot che le combattono, e frequenti sono i richiami alla semplicità e alla purezza dello sguardo dei bambini (i piccoli per eccellenza), in grado di reinventare il mondo e giocare con tutto, di tutto; ma il parallelo regge solo a patto di avere ben presente, come Fabrizio fa, quanto l’innocenza infantile (se non “caramellata” e addomesticata dalla Disney e i suoi epigoni) sia in realtà eversiva, destabilizzante, finanche perversa nella sua a-moralità – per Freud i bambini erano pur sempre “piccoli mostri polimorfi”!

 

L’arte robotologica di Fabrizio, umile e orgogliosa al tempo stesso, è abbastanza leggera e “resistente” da costituire un antidoto ironico alle altre forme di arte, quelle più imponenti e legittimate, quelle più serie e accademiche, talmente sicure di sé da finire spesso risucchiate nel baratro che dicono di temere (e che a volte invece anelano), il buco nero che poi le risputerà fuori trasformate in super-merci, in beni di consumo più o meno elitario.

E riesce in questo anche grazie al suo richiamo costante a pratiche basse (il bricolage, il riciclaggio, il piccolo artigianato da bancarella), e all’idea “forte” di laboratorio condiviso – padre per niente geloso delle sue creature e dei suoi processi creativi, Fabrizio si prodiga infatti nell’insegnare ad altri a trovare un senso (il loro, non il suo) nel caos di avanzi che gli mette davanti per dare vita a nuovi robottini, a piccoli guerrieri che poi affianchino i suoi nella comune battaglia.

 

Assemblati (con assoluto delirio e maestria) unicamente con frammenti recuperati nei modi più vari dalla grande discarica universale, e perciò consapevoli del destino triste e marcescente di tutte le merci, anche le più esclusive, i robottini con cui siamo chiamati a confrontarci non sono certo simpatici gadget, ma piuttosto spiazzanti costruzioni artistiche.

Qui – in questa mostra preziosa, e altrove, dovunque capiti – alla merce e al suo spettacolo (che alcuni si ostinano a trovare infame), Fabrizio oppone le sue creature immobili, in attesa di uno sguardo abbastanza limpido e allucinato da farle accendere e avanzare, da farle andare per il mondo a portare scompiglio.

 

 

L’Architetto: una deriva insolita fra le forme espressive.

Spacelandia-locandina72La mostra di Simone Di Stefano SPACELANDIA – Una deriva solida tra le dimensioni (ospitata da Mandarini spazio arte) è stata (ed è tuttora grazie ai suoi passi successivi) un’occasione d’interazione fra un gran numero di creativi, sia per quanto riguarda la fase produttiva di Simone stesso, ispirata dalle chiacchiere fatte coi pazzi amici, sia per le derive che ne sono seguite: il testo critico e le presentazioni di David Laurenzi, l’allestimento e la comunicazione coadiuvate da Fabrizio Bellini e gli scritti prosopoetici che ne stanno uscendo fuori.

Pur non essendo attività ospitate a BracciaRubate, alcuni creativi che a BracciaRubate fanno base hanno iniziato una proficua collaborazione con il vicino Lab52 (il laboratorio artistico di Simone, sito in Via Alessi, 52) e con il gruppo informale di creativi che ruota attorno alla rivista FLUSSO… una rete d’idee e progetti in continua gestazione/parto/sviluppo, e della quale ci piace parlare anche in questa sede.

Ed è proprio da questa contaminazione che è nata la performance del 27 Giugno 2015, della quale presentiamo il video: una contaminazione di codici differenti che Simone ha voluto promuovere per poterne lui stesso godere da spettatore.

2015-06-27-L'Architetto-Spacelandia-MandariniL’Architetto, dunque, quell’unico personaggio antropomorfo presente nei quadri di SPACELANDIA, è diventato protagonista di un racconto di fantascienza scritto da Fabrizio Bellini ed editato con l’aiuto di Zolletta. E, dalla presentazione di FLUSSO al PostModernissimo, altri incroci ed altri incastri: i libri con i quali Zolletta aveva assemblato una grande freccia/panchina diventano un muro davanti al Tavolo dell’Architetto – l’oggetto/scultura che Simone ha inserito nella mostra – un muro smontato e ricostruito davanti al lettore Fabrizio, per liberarne la voce nascondendone il corpo e la presenza; e la musica di Phantom Ship, che di nuovo si presta generosamente a far da intenso sottofondo a quella stessa voce.

Ecco il video di quella performance, insomma, quella sperimentazione senza prove che ha unito così tante forme espressive e che, soprattutto, ha unito individui delle più diverse formazioni artistiche in nuove e più strette amicizie.

L’Architetto – video

L’Architetto – testo integrale

Alcatraz in Viola!

Laboratori creativi di Fiorivano le Viole al Festival dell’Immaginazione.

Alcatraz1 (1)Sui verdi prati di Alcatraz, alcuni dei prodi creativi di Fiorivano le Viole hanno rincorso il semprevivo fantasma di Andrea Pazienza alla ricerca di una danza spontanea che potesse unire arte e socialità, coinvolgendo i presenti nelle calde ombre dell’assemblaggio e della pittura. Primi pomeriggi ricchi d’interazioni, chiacchiere, scoperte. Laboratori senza maestri ed allievi, veicolo di esperienze e passioni. Piccoli spazi senza mura a fare da contrappunto alle interessantissime lezioni. Piccoli artisti quasi anonimi felici di scorrere fra i grandi nomi del cartellone e fieri della propria leggerezza: Fabrizio Bellini, Massimo Boccardini ed Elisa Canestrelli (Atelier degli Artisti) animatori di un approccio fluido e naturale alla creatività ed all’immaginazione.

programmawebArtisti insonni a chiacchierare tutta notte attorno al tavolo o dentro la piscina riscaldata, ma pronti la mattina dopo a ricominciare il gioco dell’arte.

Noi crediamo nella luce!

inlightwetrust-def-web100BracciaRubate, in collaborazione con lo Studio OKO di Attilio Brancaccio e la pizzeria Pizza & Musica, presenta:

IN LIGHT WE TRUST

Due giorni e una mostra di LightPainting a gogò!

Protagonisti dell’evento sono Giulio (garagolo) Garavaglia e William (yapwilli) Vecchietti col loro progetto Signes de Lumière, contaminazione fra pittura e fotografia nella quale lo strumento tecnologico si fa veicolo di una poetica pura, un immaginario che unisce la realtà del soggetto ritratto – e dello spazio urbano che lo ospita – con una dimensione fantastica ed ironica della quale farsi protagonisti. Angeli, demoni, alieni ed incubi che escono dall’ombra, segnati dalla luce.

Info sul progetto e gli autori.

23 Novembre

Inaugurazione della mostra delle opere di Signes de Lumière alla pizzeria Pizza e Musica di Via della Madonna, 5

L’esposizione introduce quello che sarà il fulcro dell’evento: due intensissimi giorni di Light Painting nel quartiere di Via della Viola!

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Sabato 6 Dicembre

Lo studio OKO di Via Cartolari, 14 ospita il workshop di Light Painting di Yapwilli & Garagolo, dedicato a curiosi e neofiti, ma anche a tutti i pittori, i fotografi e gli attori che desiderano confrontarsi con questa tecnica, imparando a disegnare con le luci ed il movimento.

Per prenotarsi ed avere ulteriori informazioni occorre mandare una mail a multiplodiotto@yahoo.it oppure passare a BracciaRubate, in Via Cartolari, 4.

Domenica 7 Dicembre

In occasione del primo mercatino natalizio organizzato dall’associazione Fiorivano le Viole per le vie del quartiere, lo studio OKO ospita una sessione di ritratti in Light Painting, aperta a chi voglia o si trovi a passare, e non abbia paura di farsi avvolgere e trasformare dalla luce.

A seguire, alla pizzeria Pizza & Musica, sarà presentato il video “La Canzone della Mosca“, realizzato da Signes de Lumière su musica di Zolletta.

Il video aprirà la performance musicale della D-Lights Clear Karma Orchestra nella loro prima apparizione pubblica!

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Non potete mancare!

Abbandonare le foto è un atto d’inciviltà.

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Parte una nuova iniziativa, rivolta a tutti i creativi con qualche foto sbagliata nel cassetto. Un’altra forma di riciclo ed un altro modo di sporcarsi le mani.

La foto è un oggetto, non è solo immagine, e come tale ha una componente sensoriale completa: ha colore, forma, consistenza, odore, sapore (!) e se la manipoli anche un suono. Come tale è un veicolo perfetto per la memoria, che si aggancia proprio ai sensi meno sviluppati nell’uomo; la memoria che cambia, malgrado non sempre ce ne rendiamo conto, la memoria imperfetta, corrotta, la memoria difettosa che fa del proprio difetto la funzione primaria della propria bellezza.  Il momento fermato nella nostra memoria non è mai fermo, cambia quando cambia la nostra prospettiva su di esso: ricordo il momento quando m’innamorai di una ragazza solo vedendola passare, lo fermo nella mia testa, lo studio bene e guardo il cielo di quel lontano passato ed il cielo… è d’oro! Certamente non era d’oro, ma così lo ricordo.

Così si stabilisce a volte uno sfasamento fra foto e ricordo, una distanza che possiamo colmare facilmente costruendo ponti e proponendo atti interpretativi – che poi sono atti creativi – e la cosa più facile è farlo con quelle foto sbagliate che non coincidono con la realtà che abbiamo visto ed immaginato, facendo di quelle foto un nuovo momento, una nuova memoria, un nuovo piccolo istante di mondo fotografato non già dai nostri occhi ma assemblato dalle nostre mani. Diamo così una seconda possibilità a quelle foto abbandonate e la diamo anche a noi stessi.

Tecnicamente lo possiamo fare in molti modi diversi: sbizzarritevi!

su questo blog, vedi:

Fabrizio BelliniRitocchi di Foto Sbagliate.

Chiara DionigiRitocchi di Foto Sbagliate.

Per concludere, comunichiamo che è partita la campagna per il 5×1000 a Fiorivano le Viole: partecipare non ti costa niente ed è un ottimo modo per sostenere le nostre attività e dare combustibile alla nostra passione.FlV-5X1000-cartolina3-WEB

Mille occasioni di sporcarsi le mani

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foto di Francesco Bicchieri.

Dopo la rinfrancante esperienza del festival Alchemika, nel familiare contesto di struzzi giganti, donne topo e bolle di sapone, i Creativi di BracciaRubate non si mettono con le mani in mano (era un po’ che lo volevo dire) e propongono una serie di laboratori ed attività ludiche, che ci pareva necessario riassumere (cliccando sulle locandine il rimando alle specifiche pagine):

rilegamiDomenica 18 Maggio inizia la parte sperimentale del laboratorio sulla stenoscopia di Francesco Capponi e tutti ci auguriamo che questa volta, per una volta, ci sia il Sole.

Riparte il laboratorio di Chiara Dionigi, dove la tecnica del collage – della quale è rinomata esponente – sarà applicata alla realizzazione di copertine per quaderni e libri, associando il tema della rilegatura a quello della legatura e dell’erotismo: dal 23 Maggio 3 incontri utili, imperdibili e sensorialmente stimolanti.

FNM-locandina2-WEBIl Signore dei Mostri Zolletta è eminenza grigia della tradizionale Festa Nazionale dei Mostri del II Giugno.

Una giornata dedicata all’ozio, ci si augura, dove maestri illustratori e poeti laureati, insieme ad amatori e perfetti incapaci, si troveranno a disegnare o scrivere Mostri su Mostri, che invaderanno via Cartolari e forse il mondo. ROBOTOLOGICA-laboratorio guidato-WEBInoltre caccia al tesoro mostroide per under 40, la camera oscura ed il set di posa del F.R.A. attivi a fare Arsomigli a tema mostruoso ed a sperimentare altre forme di mostrografia. In serata aperitivo e secret concert in bottega. Ah, già, ci sono anche i favolosi Mostri volanti invisibili di Zolletta!

Il 5 Giugno inizia il laboratorio guidato di ROBOTOLOGICA di Fabrizio Bellini. Saranno sei incontri a numero chiuso in immersione nella materia e nella psiche, nella tecnica d’assemblaggi0 e nella poetica della rinascita, sviluppando temi scultorei fra i più vari, cercando l’interazione senza troppe parole, con un approccio non molto accademico, all’ormai temutissimo grido di SPORCATI LE MANI, PULISCI LA MENTE!

Per concludere, sabato 7 Giugno i creativi di BracciaRubate coi colleghi delle altre botteghe di Fiorivano le Viole inaugurano una collettiva al dA-Co di Terni. Che c’entra? Be’, anche lì saranno proposti laboratori e performance! Di sicuro c’è la ventiquattrore robotologica del Fab, gli acquarelli di Massimo Boccardini e, gira voce, l’Afghan Box Camera!

Poi dite che gli artisti sono sognatori!

E’ iniziata Alchemika!

(clicca sull’immagine per andare al sito)

6x3 - immagine e grafica: Francesco CapponiNel quartiere di Via Cartolari/Via della Viola sono iniziati a girare soggetti bizzarri già da ieri, aria calda eppure frizzante di fermento, ultimi preparativi, Francesco Capponi sull’orlo dell’esaurimento per i mille impegni: grafico, web designer, attore, trasportatore di frigoriferi, davvero il pirata del foro non si è risparmiato in questo periodo, portando un contributo essenziale all’organizzazione dell’evento. Sul suo pianeta non c’è mai stato niente del genere!

P1070514Intanto la bottega è pronta a ricevere i curiosi, Fabrizio Bellini e Chiara Dionigi terranno banco questo fine settimana, nel senso che cercheranno di spingere il banco di finanziamento, colmo dei folli gadget di BracciaRubate: se volete sostenerci, questa è l’occasione giusta! Oltre ai soliti Mostrini, Robottini e Barattoli Solargrafici, ci sono nuove richiestissime spillette robotologiche, cravattini di legno, T-shirt del F.R.A., cartoline d’ogni tipo, quaderni da riempire una cartoleria e le nuove serie di quadretti disegnati a mano da Chiara: Anche gli Animali Ruttano e Perle ai Porci.

Oltre a questo, la stanza dedicata alla fotografia ospiterà la mostra fotografica di Francesco Capponi “i trucchi dei giocolieri non piacciono a dio”, con – fra l’altro – gli originali de il circo pogato e, special guest, una cartomante!

Spero solo che Zolletta abbia preparato la colla per attacchinare gli Strilli dell’ultimo periodo.