Da dove prendi le tue idee?

di Fabrizio Bellini.

Monologo scritto e letto in occasione della mostra DELL’OSSERVARE DEL FARE DEL SENTIRE Sentieri guidati nelle discipline visive – Mostra di fine corso del 19 Aprile 2015, organizzata da Lab52 in collaborazione con l’ass. Fiorivano le Viole presso lo spazio ex-Combo di Via Cartolari, 1 a Perugia.

“L’autore ringrazia tutti i partecipanti, tutti quelli che avrebbero voluto esserci, tutti quelli che, durante dialoghi casuali svoltisi nei giorni precedenti, hanno gettato idee nel calderone delle idee poi espresse; in particolare: Simone, Manuela, Martina, Federica, Patrizia, Juan, Andrea, Alessandra, Gianni, Zolletta, Yzu.”

 

Nessuno sa di chi siano figlie le Muse.

E’ difficile credere che siano figlie degli Dèi, quegli Dèi arroganti che si nascondono sulle vette e viaggiano fra le nubi sui dischi volanti, manipolando, maledicendo, dettando leggi e morale, inventando conflitti fra gli estremi di ogni dualismo, facendoci dimentare che ogni coppia non è opposta ma solo fatta di parti diverse e complementari.

Le Muse son troppo gentili, troppo generose e troppo adattabili, per avere tale discendenza. Allora da dove vengono?

Rispondere è come rispondere ad uno stupido giornalista che ti chiede – ogni volta – da dove prendi le idee? La risposta sfugge perchè la domanda è stupida: non sono gli artisti a prendere le idee ma le idee a scegliere gli artisti!

Così è per le Muse, che non nascono ma – al di là della logica comune – semplicemente sono. Le Muse stesse non sono che idee, idee nutrite, maturate, incarnate perfino, germi che si son fatti struttura, semi che son diventati alberi, cellule che si sono estese in gangli e si connettono – tramite sinapsi sottili – alle teste ricettive, alle teste accordate.

Le Muse sono idee ricercate per necessità; per la necessità dell’uomo di trovare un senso ed una realizzazione al di là di se stesso, del proprio corpo animale, del proprio corpo ragionante.

Sono idee che assumono personalità e che spingono altre idee, che favoriscono i germi, che affondano i semi.

Sono idee fattesi dee, cresciuti i capelli, truccatesi gli occhi.

Sono idee che guidano altre più piccole idee alla giusta mano mortale, ma che ai mortali nulla vogliono insegnare perchè sono donne, portatrici di doni senza la pretesa di educare.

E tu Alessandra sei Musa, stasera, lontana e vicina; pensavo di averti fra le righe ma ti sento invece degna di essere nelle mie righe, in questo monologo scritto all’ultimo momento, in queste frasi ermetiche, spezzate da una punteggiatura che solo io posso leggere, in questa ricerca di un senso per me che sono uomo ed in quanto uomo – ora – immortale. Io che sono in questa notte lontano da te perchè l’impegno mi chiama a scrivere, in questa notte vicina a te perchè senza di te non potrei scrivere.

Ed i giornalisti dentro la mia testa continuano a chiedere: da dove prendi le idee, ed io continuo ad inventare dicerie, parlando delle facce della gente che passa, del tempo vissuto in questa associazione, dell’occupazione degli spazi, quando invece non esiste gente, non esiste il tempo, non esistono spazi, esiste solo l’invisibile. L’invisibile dove vivono le idee, queste idee che mi frullano dentro, che si rimescolano, che si versano come vino nel bicchiere e dal bicchiere alla bocca e dalla bocca allo stomaco e dallo stomaco al sangue.

Avrei voluto essere logico, armonioso, ma le idee non me lo consentono; le Muse ridono di me come si ride della logica dei bambini: con leggerezza ma anche con rispetto. Le idee mi scelgono e suonano il metronomo, le idee mi visitano e portano scatole in dono difficili da aprire, le idee mi spaccano e reinnestano i pezzi, le idee virano i colori e vibrano nei suoni, parlano a risate e profumano il silenzio.

E si fanno carne. Perchè le Muse non stanno in altro luogo che negli occhi di una bionda, nella voce di un amico stanco dopo un lungo giorno di gratificante lavoro non pagato, nel vocio di una piccola folla di uomini e donne sconvolti e meravigliati dalla solita ciclica primavera improvvisa. Sono qui, insomma, in noi. E noi le cerchiamo fra noi ma così di certo non possiamo trovarle. E noi le cerchiamo lassù ma lassù esse non vivono più, o forse non son mai vissute.

Le Muse s’impastano di saliva, s’impastano di vernice, s’impastano di colla e pezzi accumulati. Le Muse sono il peso di un tasto di pianoforte, facile da spingere ma non sempre facile da scegliere. Le Muse sono nelle crepe della creta che si cuoce, nella fornace di un sogno da manifestare, nell’insoddisfazione di una notte senza il tuo corpo da baciare.

Può l’acqua bruciare? Può la terra evaporare? Son domande più legittime che chiedere – come fanno i giornalisti – da dove prendere le idee? (Sembra che lo domandino per scrupolo, ma in realtà lo chiedono per fame).

Le idee scelgono gli uomini, questa è la verità, ma lo fanno con ingenuità: vanno da tutti, anche dai più pigri; ma se poi i pigri non le usano, le idee non insistono e vanno d’altri, finchè non trovano anche loro qualcuno che le apprezzi e le sappia illuminare.

A farla lunga ci potrei stare dei giorni, perchè in effetti ho appena cominciato, ma le Muse hanno alleati che spingono alla sintesi: una sigaretta da rollare, un vino bianco da versare.

Vi domanderei: avete mai invocato le Muse tutte assieme? Imparato i loro nomi? Pronunciato le preghiere?

Cazzo, la testa vi si spacca! Io sono giorni che lavoro sulle Muse e l’energia non basta!

Melpomene, della Tragedia, come un’amore non corrisposto: quanti Robottini hai prodotto, quante poesie mai scritte!

Talia, sua gemella assai diversa, che mi fa ridere dei miei guai nella Commedia che sempre va riscritta.

Tersicore, ballerina, mai hai tu ascoltato le mie inutili parole, ma quanto hai ispirato gli spazi fra le sillabe, il ritmo impronunciabile delle mie virgole sbagliate, di tutte queste pause spezzettate.

Clio, Musa della storia, la bugiarda per antonomasia, sempre alla ricerca di una luce da catturare ma sempre un passo indietro alla luce, che è troppo veloce, inafferrata.

Polimnia, mimo, con la tua pelle sbiancata di cerone, ispiratrice della sincerità del mio tremore.

Urania, conoscenza, che fra le stelle hai spinto la mia immaginazione, che fra le stelle hai tirato il mio guardare, che poi negli occhi – in certi occhi – hai tirato il mio vagare.

Calliope, dell’epica poesia, bastarda che m’hai ingannato, che m’hai portato al sogno di un mondo ricordato, di un caldo altrove troppo lontano.

Euterpe, che persino la mia mano hai mosso, a testa bassa, orecchie aperte, nei concerti più impensati che d’invidia hanno segnato le mie dita da scrittore, la mia voce da poeta.

E Bulla, la mia Musa, la Musa dell’accrocco, della balbuzia, del raccatto, dell’incontro, colei che con la colla unisce ciò che per forma non sembrava adatto.

Muse mie amate, voi mi farete uscire matto, perchè ora il mondo è fatto di becere passioni – al meglio – di stupide opinioni, e di materie pesanti, marciscenti, maledette.

Francesco mio, nome astratto, nome comune ai miei migliori amici, ma anche al Santo, non ti chiedo aiuto, non ti chiedo coraggio, perchè io ho le Muse a farmi saggio, anche se non credo alle loro parole, al loro canto, perchè vi dico, amici, fratelli, umani attorno, che dobbiamo fare pace fra noi tutti – anche coi diversi – e maledire quegli Dèi avversi che per superbia e orgoglio ci mettono in testa la pazzia col nome di ragione, che c’illudono che siccome dal seme nasce l’albero dall’albero nascano le nuvole.